venerdì 31 agosto 2012

L'altra faccia della spirale


"Tu vedi, mio signore e padrone della mia anima, cosa mi fai obbligandomi a scendere dall'altezza della filosofia a una tecnica meccanica da fabbro, e persuadendomi a trasformare la materia e a modificare le nature. O forse anche questo attiene alla filosofia e dipende dalla scienza della Natura?"

Così scriveva l'erudito bizantino Costantino Psello in una lettera indirizzata a Michele Cerulario, il patriarca di Costantinopoli all'epoca dello scisma che ha diviso la chiesa cristiana in "cattolica" e "ortodossa".


Il Patriarca Michele Cerulario e il Papa Leone IX
in miniatura  da un manoscritto greco
 del XV secolo (Biblioteca Nazionale di Palermo)
Il contenuto della missiva è conosciuto anche come Crisopea ed è presente in due manoscritti, il Vat. Gr. 1912 (cronaca cassanese) e il Marciano Greco IV, 44. Quest'ultimo è preceduto da una traduzione latina del 1573 del calabrese Domenico Pazimenti, di cui la Biblioteca Marciana conserva una copia rilegata insieme al De auro libri res di Pico della Mirandola. Quando Psello organizzò i corsi di studio all'Accademia di Costantinopoli programmò lo studio della Filosofia al termine del Quadrivio come ultima materia di studio in quanto vedeva in essa il compimento di tutte le scienze.
La filosofia non era che l'incipit della metafisica e quasi tutto il materiale di studio raccolto proveniva solo in minima parte da Aristotele, la parte cospicua da Platone, Proclo e Plotino. Aristotele poi non veniva mai studiato da solo ma solamente combinato, in via subordinata,  con Platone così come scritto anche dall'Imperatore Giuliano nella sua opera Alla madre degli dei (3,35):


"Ritengo che le teorie dello stesso Aristotele siano incomplete se non si integrano con quelle di Platone..."

Secondo Psello, fine ultimo di qualsiasi attività spirituale dell'uomo doveva essere la filosofia prima, ossia la metafisica.  L'esercizio della ragione ha senso soltanto nella misura in cui si pone al servizio della filosofia prima.

"Per accedervi, per iniziarmi alla scienza pura, mi sono dedicato anzitutto allo studio delle matematiche, alla contemplazione delle realtà incorporee. Le scienze matematiche occupano la posizione mediana tra i corpi della natura, da una parte, e l'intelligenza e le stesse sostanze con le quali l'intelligenza marcia a pari passo, dall'altra. Ho fatto questo per capire ciò che sta sopra alle scienze matematiche e al di là dell'intelligenza e della sostanza" (Mesaionike Bibliotheke IV,121)

Anche se usa il termine aristotelico di filosofia prima il concetto che Psello ha della metafisica, che ha come obiettivo lo studio di ciò che si trova al di là dell'intelligenza e della sostanza, non è affatto aristotelico bensì pitagorico-platonico. 

Psello, seguendo la Tradizione di cui Platone è indiscusso Maestro, rimarca  che solo elevandosi oltre il piano intellettivo si può sentire ciò che si trova oltre, giungere cioè alla scoperta dell'Uno.
È chiaro dunque che le ragioni della preferenza della scuola bizantina per Platone manifestano l'identità greca e pagana dei suoi interessi filosofici e teologici. In quanto teologo oltre che filosofo, Psello vedeva in Platone il vero teologo, colui che ha dato ordine alle nostre conoscenze sul mondo intelligibile, e in quanto interessato alle scienze matematiche egli vedeva in esse come un vettore in direzione della metafisica, proprio come aveva fatto Platone.
Solamente con questa premessa è possibile comprendere il vero significato del
"mondo solare asservito alla profondità eterea"
menzionato nella Ekthesis caldaica (Expos.1152C,4-fr.184) di Psello e capire come i suoi maestri secoli prima abbiano ispirato i berretti fregi dei Re Magi nei mosaici di Ravenna. Gli stessi copricapi adottati dagli alchimisti medievali a simbolo della propria Arte Reale.

Particolare del mosaico ravennate
raffigurante i Re Magi

Costantino Psello ebbe come Maestro Giovanni Mavropos (latinizzato in Mauropode) e fu lui stesso Maestro, tra gli altri, di Giovanni Italo.
Mavropos e Psello riuscirono come i loro predecessori a celare  la propria iniziazione platonica dietro il paravento della religione di stato alla stessa stregua dei loro "prececessori" ai tempi  della Roma repubblicana e imperiale, sostituendo allo stesso fine gli dei mitologici  con i santi. Diversamente decise invece di comportarsi Giovanni Italo, convinto  di poter applicare la dialettica ai dogmi cristiani arrivando così a sostenere apertamente qualcosa come  l'eternità della materia, anticipando i tempi di qualche secolo. Nel teatro della storia egli ha, purtroppo,  "sbagliato l'entrata ma non la battuta".
Giovanni Italo, il nome lo rivela, era originario dell'attuale Calabria (o Sicilia secondo altre fonti) Anna Comnena ne l'Alessiade ci descrive, oltre al carattere impetuoso, i sui argomenti di insegnamento citando Platone, Porfirio, Ammonio, Proclo e Giamblico, autori indicativi per chi ritiene che in quel periodo l'influenza filosofica ellenica fosse solo aristotelica.

Protetto dal suo Maestro Psello durante e dopo i suoi studi a Costantinopoli, successivamente all'uscita di scena di quest'ultimo si trovò a dover difendere sè stesso ed i suoi allievi da una pesante accusa di eresia. La vicenda parla chiaro sull'influenza di Psello sull'imperatore Michele VII Ducas, anch'egli suo meritevole allievo: un sinodo, nel 1076-77, condannò, senza fare il nome di Giovanni Italo, una raccolta di tesi di nove capitoli che erano a lui attribuite. Nel 1082, quattro anni dopo la morte di Psello, si arrivò però ad una condanna aperta ed egli fu costretto a ritirarsi in un monastero. Meditiamo sul fatto che, dopo una tale accusa, la sorte di Italo sarebbe stata quasi sicuramente peggiore se egli si fosse trovato nel cattolico occidente.

Costantino Psello e l'imperatore 
Michele VII Ducas

Il contenuto dei nove capitoli, per il contenuto iniziatico che vi si ritrova,  è a dir poco  imbarazzante: interpretazione con argomenti razionali dell’incarnazione, superiorità delle dottrine dei filosofi antichi rispetto alle tradizioni ecclesiastiche, ripresa delle dottrine platoniche sul mondo e sull’uomo, negazione dei miracoli...

Pochi decenni più tardi il sapere della mistica tedesca Ildegarda di Bingen  attinge proprio dal repertorio neoplatonico di matrice bizantina con forti similitudini (per Ildegarda in versione onirica) con  lo "stato di trance" di Giuliano il Caldeo e di suo figlio Giuliano il Teurgo, ritenuti gli autori degli Oracoli Caldaici.
Autori come Kraft o Dronke (per quest'ultimo il testo Platonic Christian Allegories) ipotizzano che Ildegarda fosse stata influenzata in questo dalla Scuola di Chartres ma sappiamo per certo anche di suoi rapporti epistolari con la corte bizantina e quindi (non è da escludere) con l'Accademia di Costantinopoli. Ella nel Liber de vita meritorum mette al centro del Cosmo la figura dell’Uomo alato, simbolo della divinità eterna, immanente e operante nel mondo:  

"fuoco che romba nascosto e bruciante e anima tutte le cose"

Il  fuoco è altrattanto presente, con il medesimo significato, negli Oracoli Caldaici:

"Ascoltate, o dei, voi che tenete il timone della sapienza sacra, avendo acceso il fuoco che eleva in alto le anime dei mortali..."

Lo stesso "fuoco teurgico" protagonista della religione zoroastriana, analogo e forse derivato del Pramantha vedico, prova provata, si direbbe oggi, dell'unicità della Tradizione.

Giovanni Reale, studioso certamente non avvezzo all'esoterismo, in "Per una nuova interpretazione di Platone" ricorda che Proclo riteneva che gli Oracoli Caldaici fossero un testo basilare del neo-platonismo insieme al Timeo (pag.583); Reale nello stesso testo cita anche le parole molto eloquenti di Gaiser, questa volte riferite all'Oracolo di Delfi:

...il lettore deve sforzarsi di cogliere la verità non diversamente da come si sforza di intendere le sentenze degli oracoli. Si può applicare ai dialoghi platonici quel che Eraclito ha detto del Dio di Delfi: "Non afferma, né nasconde, ma lascia intendere per cenni" (pag.475)

 Sarebbe sicuramente molto interessante approfondire gli studi sulle opere di Giovanni Italo, personalmente ritengo che l'Accademia di Costantinopoli fosse nell'alto medioevo l'unico centro iniziatico occidentale (al pari dell'odierna Massoneria) e che fu spostata a 
Mistrà nel Peloponneso quando Bisanzio non fu più ritenuta sicura, in balia com'era di papi e sultani. 

Segnalo a questo proposito la presenza dello scritto sulla dialettica nel manoscritto Gr. XI.22  della Biblioteca Marciana di Venezia, della seconda metà del XIII secolo, nel manoscritto della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze LXXI.32, copiato dallo scriba Tommaso nel 1309-10, nel Suppl. Gr. 655 del XIV secolo (Parigi, Bibl. nationale) e nel Marciano Gr. 519 (773), fatto eseguire dal cardinale Bessarione nel XV secolo. L'opuscolo sull'interpretazione è invece conservato nel ms. Gr. 1843 della Bibl. nationale di Parigi, del XIII secolo. 


La gemmazione dell'Accademia di Costantinopoli avvenne poi in Italia dal 1438 con la costituzione della Accademia platonica fiorentina.



 


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