domenica 13 aprile 2014

Iniziazione Alchemica Tradizionale

"Sapienza e solitudine". Questo fu il motto che il principe Giovanni Torlonia volle fosse inciso all'ingresso della sua dimora, la cosiddetta Casina delle Civette,  annessa alla tenuta di Villa Torlonia a Roma.

Spesso mi è capitato di leggere su come gli alchimisti inizino a mettere in pratica l'Arte dopo anni di solitaria erudizione. Ciò non corrisponde quasi mai a verità: che io sappia, almeno in Occidente,  si contano sulle dita di una mano i fortunati che sono stati in grado di percorrere la Via Alchemica con questa modalità iniziale,  una sorta di auto-iniziazione. 

Di norma cioè avviene come Tradizione comanda, cioè con un legame biunivoco tra Maestro ad Apprendista. Al primo l'onere di scegliere a chi rivelare l'Arte ed al secondo la consapevolezza di ciò che sta per compiere.
Non è quindi sempre vero che una struttura gerarchica sia incompatibile con l'Alchimia, nessuno può compiere esperienze in vece di qualcun altro ma ci sono segreti che possono e devono essere trasmessi.

In Francia Maestri  furono gli appartenenti al "gruppo Fulcanelli", nel paese quadripartito altri Maestri iniziano all'Arte i pochi ritenuti degni.

Simbologia delle Api , del numero 8 e dell'Infinito unificatore
 in una immagine ermetica
Di quest'ultima Istituzione si conosce ben poco, chi ne fa parte non ne parla e non ne scrive, la segretezza assoluta ne copre qualsiasi attività.

Fino a pochi decenni fa il fondo della biblioteca massonica di Poznan annoverava tra i propri libri (arrivati in Polonia dalle Logge Massoniche tedesche le cui colonne furono brutalmente violate dai nazisti) alcuni testi con poche, frammentarie informazioni scritte da  massoni alchimisti vissuti tra il '700 e i primi del '900.
Misteriosamente tutti questi testi sono scomparsi decenni or sono  e in pochi hanno avuto l'onore di studiarli.
Il primo di questi testi di cui desidero scrivere è un commento all'opera del 1550 di Giovanni Antonio Pantheus dal titolo Voarchadumia contra Alchimiam , ars distincta ab Archimia et Sophia, cum additionibus e riconduce alla fondazione dell'Istituzione  simultaneamente  a Venezia ed a Praga. Si cita anche Paracelso, senza specificarne però la funzione.



Matrice platonica dell'ermetismo nel XVI e XVII sec. 



Da un recente trattato di Fisica particellare: Materia e Antimateria speculare
 per chi sia (ancora) convinto che la Tradizione sia solo superstizione.

In un altro libro viene confrontata l'Iniziazione Massonica distribuita nei 3 gradi con quella alchemica di "soli" 2 gradi: Apprendista e Maestro. Non posso esimermi dall'annotare che anche la Libera Muratoria fino a circa metà del XVII sec.  annoverava solamente 2 gradi...

Il Primo Grado Alchemico viene descritto come una Iniziazione alla lingua arcana. Si viene accolti, così è riportato, nella cerchia iniziatica a patto di avere particolari doti mnemoniche e tutti i sei sensi molto sviluppati, il tutto suggellato da una profonda ed amorevole conoscenza dello scibile umano. 

Non è possibile approcciare l'esoterico se prima non si conosce eccellentemente l'essoterico.

 
Matrice pitagorica nell'ermetismo del XVI e XVII sec.
Al termine dell'Iniziazione a quello che potremmo chiamare per analogia Primo Grado viene consegnato all'Iniziato un gioiello in argento (chiamato nel testo Elementa) con impresso un sacro quadrato in lettere numeriche da portare al collo sotto agli abiti, occultato così alla vista dei profani. 

Ciò che è svelato ai pochi deve essere celato ai molti.


Trascorso il tempo necessario e dopo un attento esame dei Maestri è consentito all'Apprendista di  apprendere i rudimenti pratici dell'Arte, indispensabili, così è scritto, per accendere i fuochi e attendere il canto del gallo. 


da un bestiario francese di metà del XVI sec
(Museum Meermanno, MMW, 10 B 25, Folio 36v)
Al nuovo Maestro sarebbe donato un anello (nominato Aurum Solis) in argento con , in oro alchemico, "il simbolo dei simboli". Viene descritto nel testo anche come un duplice anello forgiato nell'unione  del "Re e della Regina per concepire il loro padre". Un ulteriore libro cita il suddetto gioiello come "l'anello della vera conoscenza", appellativo dovuto ad una frase in greco che sarebbe lì presente in rilievo. 

Due gioielli quindi per il Maestro Alchimista, uno celato e l'altro esposto: 

"l'Opera viene concepita nell'oscurità ma necessita della luce per il compimento"

Di + non si può e non si deve scrivere a tal proposito.   

domenica 27 ottobre 2013

Il senso della vite



SWASTIKA IN ROTAZIONE
 DESTRORSA

Quando ero giovane c'erano i poeti ed essi di sovente inciampavano nella Verità. Ora in questa epoca figlia di una doppia vir-tualità gli stessi preferiscono scrivere testi per le canzoni, come questo che riporto. Da leggere con la profonda attenzione che merita:


"Il senso della vite nasconde un gran mistero Prendiamo tre minuti per veder se  c'è del vero 

Si avvita in senso orario si sviterà al contrario io svito e lei si stringe Arcano enigma della sfinge 

Sarà che son negato al lavoro manuale Lo zen è l'arte di chiamare presto un falegname 

Col senso della vite vai incontro a frustrazioni Non trovi il verso giusto E' come scrivere canzoni 

Provaci tu Io vado a riposare Provaci tu Non ho tempo da buttare 

Il senso della vite è un finto singolare Potresti non trovarlo mai ma seguiti a girare 

Lasciate ogni speranza voi che girate Un giorno o l'altro io la prendo a martellate 

Dopo tanta fatica son prossimo allo zero lascio a voi che ci riuscite il senso della vite 

Dopo tanti tentativi sono prossimo allo zero".

SWASTIKA IN ROTAZIONE
 SINISTRORSA
"QUANTO AL SENSO DI ROTAZIONE INDICATO DALLA FIGURA, ESSO HA UN IMPORTANZA DEL TUTTO SECONDARIA E NON INFLUISCE SUL SIGNIFICATO GENERALE DEL SIMBOLO; IN EFFETTI SI TROVANO ENTRAMBE LE FORME A INDICARE SIA UNA ROTAZIONE DA DESTRA A SINISTRA, SIA UNA DA SINISTRA E DESTRA, SENZA CHE QUESTO IMPLICHI NECESSARIAMENTE L'INTENZIONE DI STABILIRE TRA LORO UN OPPOSIZIONE QUALSIASI.
E' PUR VERO CHE, IN CERTI PAESI E IN CERTE EPOCHE, POSSONO ESSERSI PRODOTTI, NEI CONFRONTI DELLA TRADIZIONE ORTODOSSA, DEGLI SCISMI I CUI FAUTORI HANNO DATO VOLUTAMENTE ALLA FIGURA IN QUESTIONE UN ORIENTAMENTO OPPOSTO A QUELLO IN USO NELL'AMBIENTE DA CUI SI DIVISERO, NELL'INTENTO DI AFFERMARE MEDIANTE UNA MANIFESTAZIONE ESTERIORE IL LORO ANTAGONISMO, MA CIO' NON INFIRMA PER NULLA IL SIGNIFICATO ESSENZIALE, CHE RIMANE IN TUTTI I CASI IL MEDESIMO.DEL RESTO, LE DUE FORME SI TROVANO TALVOLTA ASSOCIATE:

Oggetti rituali ritrovati nella valle dei Veda:
 le precedenti immagini sono relative ad oggetti sacri
della stessa panoplia cultuale 

POSSONO ALLORA ESSERE INTESE COME RAFFIGURAZIONI DELLA STESSA ROTAZIONE VISTA DA CIASCUNO DEI DUE POLI, IL CHE SI RIALLACCIA AL SIMBOLISMO ASSAI COMPLESSO DEI DUE EMISFERI. "

(dal Simbolismo della Croce di Renè Guenon)

A te, caro lettore, trovare il punto zero. Non aver fretta, hai tutta l'eternità davanti.




sabato 19 ottobre 2013

Rebus Alchemico, ovvero "'de duo un fare"'

Chi solvere non sa, ne' assottigliare
corpo non tocchi, ne' argento vivo

per chi non può lo fisso et volativo

tenere chi non sa de duo un fare.
Fatelo dunque stretto abbracciare
con acqua viva e sal disolutivo,
tene bene e coque piane si che sie privo
della terra mama la qual lo fa celare.
Allora vedrai fuggire la morte obscura
et ritornar lo Sole lucente e bello
con molti fiori ornato in sua figura.
Questa è la pietra, questo è quello
delli filosofi l'antica scrittura
che sull'incudine batte lo martello.
Finis.

 L'Acerba di Cecco d'Ascoli è sicuramente un interessante esempio di codice cifrato. Decifrare il Rebus non è impossibile...a patto di riunire ciò che è sparso nell'apparente  dualità del testo. 


Particolare dalla Tempesta di Giorgione

sabato 10 agosto 2013

Il lato oscuro della storia

Dal sito di Repubblica del 10 Agosto 2013 (380 giri attorno al Sole dopo la condanna di Galileo Galilei). 
CITTA' DEL VATICANO - Confratello e connazionale del Papa, il gesuita Josè Gabriel Funes, astronomo e direttore della Specola Vaticana, fa parte della generazione che è cresciuta guardando Star Trek, il telefilm originale, nel pomeriggio, dopo aver fatto i compiti per la scuola. "Posso dire", scrive sull'Osservatore Romano, "che sono un trekkie, piuttosto che un fan di Star Wars".
Forse qualcuno avrebbe dovuto suggerire a padre Funes che il termine trekkie non è gradito ai cultori della serie televisiva perché ritenuto denigratorio per l'assonanza con il termine groupie che la celebre enciclopedia on-line Wikipedia così definisce: "Con il termine groupie si è iniziato ad identificare, a partire dagli anni sessanta, le ragazze che accompagnavano le rockstar in gran parte delle loro tournée, assecondandone con entusiasmo la vita sregolata (!) e le sfrenatezze sessuali (!!!), e divenendo quindi vere e proprie componenti del loro entourage".


Intervista a Funes pubblicata il 14 maggio 2008 sul quotidiano della santa sede.
(Che fosse più appropriato anteporre al titolo  la congiunzione "anche" ?)


Per i fan di Star Wars invece riporto tre interessanti citazioni:

  • La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all'ira, l'ira all'odio; l'odio conduce alla sofferenza.
  • Sempre due ci sono... Né più né meno... Un Maestro, e un Apprendista. 
  • È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi.

  Continuiamo a leggere l'intervista al gesuita astronomo:
Ricordando nel suo editoriale l'invito che Francesco ha rivolto ai gesuiti, e a tutta la Chiesa, di frequentare  le periferie, lo scienziato e religioso cita infatti le mitiche parole del vecchio telefilm: "Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi della nave stellare Enterprise. La sua missione è esplorare strani nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà, per arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima". "Trovo queste parole particolarmente belle", spiega Funes, "perché interpretano il desiderio, molto umano, di conoscere ed esplorare l'universo".
(Forse non sono proprio le frontiere intese dal vescovo di Roma.)

"Questa è anche la missione della Specola vaticana. Papa Francesco", ricorda infatti Funes, "ci ha invitato a percorrere cammini di ricerca, cammini creativi. La scienza è uno di questi cammini che i gesuiti hanno percorso nei secoli". (sic!)

Lettera autografa del "matematico" gesuita Grassi al Generale della Compagnia di Gesù  Vitelleschi
per chiedere l'intervento dell'inquisizione contro Galileo Galilei

link all'articolo:

http://www.repubblica.it/esteri/perdonalinonsannoquellochedicono.html

Termino con una immagine a perenne ricordo  della suddetta  "secolare ricerca":



Targa posta alla base della statua di Giordano Bruno  nella piazza ove egli morì
per cause oscure il 17 febbraio 1600.




sabato 27 luglio 2013

Un volto nella folla

In un frammento del Νόμων συγγραϕή (De Legibus) di Giorgio Gemisto detto Pletone recentemente riscoperto da un collezionista elvetico (R+C) in una missiva a Giano Lascaris così è scritto e tradotto come è possibile:


« Con (per mezzo di) Apollo non c'è caos; c'è armonia.
Con Mercurio Stilbone non c'è ignoranza; c'è conoscenza.
Con Marte Pyrois non c'è guerra; c'è serenità.
Con Venere non c'è inquietudine; c'è la Luce.

Con Zeus non c'è morte; c'è il Tutto. »


Sotto gli auspici del Sole rinato con questi versi ritorno dopo qualche mese di assenza con una riflessione sulla Realtà, o meglio sui differenti stati della realtà. 

Tre  ordini di realtà: l'Uno, gli Dei e gli Uomini.



Loro, gli dei, nel Cielo al di là del fisico, noi qui sulla terra. L'Uno Ci ha posati quaggiù come loro doppi, lasciandoci però una certa autonomia. Essi  sono i rettori dell'Uni-verso, la spiaggia sulla riva dell'Infinito.

A noi la Terra, quì è la sede della nostra missione che parte dal settimo giorno per ritornare al primo. Ma non dormono, non si sono dimenticati di noi. L'Uni-verso celeste è orientato verso di noi, la giustizia e la misericordia universali convergono verso questo strano pianeta di sangue e di fango.  I sette cieli sono intorno ad esso.



Come uno specchio, esso rinvia loro i sette raggi, posati su sette suggelli. E tutto ciò che è in basso è come ciò che è in Alto.



La nostra carne è forgiata sul modello divino. Ma la rassomiglianza non è conseguita senza pena, occorrono secoli per una imagine che soddisfi: molte sono informi o deformi. Ma accade anche che la riproduzione riesca. Allora, fra mille e diecimila persone, si vede un volto veramente divino.

Questo basta per chi sa vedere con l'occhio dell'unicorno...

Ogni uomo è il doppio di un dio. Chiuso come in un cerchio di ferro, la Kabbala ha dato un nome al suo guardiano: Il drago della soglia


Corre qua e là,  mangia la polvere tutti i giorni poi  muore.

Ma è per rinascere e morire e rinascere finché un giorno,  prende coscienza di sé.



Alla fine - poiché tutto ha una fine quaggiù - alla fine, ci si sveglia Uno. Il dio del settimo giorno.

Bassorilievo buddista raffigurante la Ruota delle Reincarnazioni.

Nulla muore, finiscono dei sogni perchè altri debbano incominciare.



Su ciò si fonda la dottrina retta
che il più basso diventerà il più alto.
Perché scampammo al torrido e servile sepolcro,
nell'incommensurato dominio all'aria libera.
È un palese mistero, assai ben conservato,
solo assai tardi palesato ai popoli. 
      (Faust, Johann Wolfgang von Goethe)

venerdì 31 agosto 2012

L'altra faccia della spirale


"Tu vedi, mio signore e padrone della mia anima, cosa mi fai obbligandomi a scendere dall'altezza della filosofia a una tecnica meccanica da fabbro, e persuadendomi a trasformare la materia e a modificare le nature. O forse anche questo attiene alla filosofia e dipende dalla scienza della Natura?"

Così scriveva l'erudito bizantino Costantino Psello in una lettera indirizzata a Michele Cerulario, il patriarca di Costantinopoli all'epoca dello scisma che ha diviso la chiesa cristiana in "cattolica" e "ortodossa".


Il Patriarca Michele Cerulario e il Papa Leone IX
in miniatura  da un manoscritto greco
 del XV secolo (Biblioteca Nazionale di Palermo)
Il contenuto della missiva è conosciuto anche come Crisopea ed è presente in due manoscritti, il Vat. Gr. 1912 (cronaca cassanese) e il Marciano Greco IV, 44. Quest'ultimo è preceduto da una traduzione latina del 1573 del calabrese Domenico Pazimenti, di cui la Biblioteca Marciana conserva una copia rilegata insieme al De auro libri res di Pico della Mirandola. Quando Psello organizzò i corsi di studio all'Accademia di Costantinopoli programmò lo studio della Filosofia al termine del Quadrivio come ultima materia di studio in quanto vedeva in essa il compimento di tutte le scienze.
La filosofia non era che l'incipit della metafisica e quasi tutto il materiale di studio raccolto proveniva solo in minima parte da Aristotele, la parte cospicua da Platone, Proclo e Plotino. Aristotele poi non veniva mai studiato da solo ma solamente combinato, in via subordinata,  con Platone così come scritto anche dall'Imperatore Giuliano nella sua opera Alla madre degli dei (3,35):


"Ritengo che le teorie dello stesso Aristotele siano incomplete se non si integrano con quelle di Platone..."

Secondo Psello, fine ultimo di qualsiasi attività spirituale dell'uomo doveva essere la filosofia prima, ossia la metafisica.  L'esercizio della ragione ha senso soltanto nella misura in cui si pone al servizio della filosofia prima.

"Per accedervi, per iniziarmi alla scienza pura, mi sono dedicato anzitutto allo studio delle matematiche, alla contemplazione delle realtà incorporee. Le scienze matematiche occupano la posizione mediana tra i corpi della natura, da una parte, e l'intelligenza e le stesse sostanze con le quali l'intelligenza marcia a pari passo, dall'altra. Ho fatto questo per capire ciò che sta sopra alle scienze matematiche e al di là dell'intelligenza e della sostanza" (Mesaionike Bibliotheke IV,121)

Anche se usa il termine aristotelico di filosofia prima il concetto che Psello ha della metafisica, che ha come obiettivo lo studio di ciò che si trova al di là dell'intelligenza e della sostanza, non è affatto aristotelico bensì pitagorico-platonico. 

Psello, seguendo la Tradizione di cui Platone è indiscusso Maestro, rimarca  che solo elevandosi oltre il piano intellettivo si può sentire ciò che si trova oltre, giungere cioè alla scoperta dell'Uno.
È chiaro dunque che le ragioni della preferenza della scuola bizantina per Platone manifestano l'identità greca e pagana dei suoi interessi filosofici e teologici. In quanto teologo oltre che filosofo, Psello vedeva in Platone il vero teologo, colui che ha dato ordine alle nostre conoscenze sul mondo intelligibile, e in quanto interessato alle scienze matematiche egli vedeva in esse come un vettore in direzione della metafisica, proprio come aveva fatto Platone.
Solamente con questa premessa è possibile comprendere il vero significato del
"mondo solare asservito alla profondità eterea"
menzionato nella Ekthesis caldaica (Expos.1152C,4-fr.184) di Psello e capire come i suoi maestri secoli prima abbiano ispirato i berretti fregi dei Re Magi nei mosaici di Ravenna. Gli stessi copricapi adottati dagli alchimisti medievali a simbolo della propria Arte Reale.

Particolare del mosaico ravennate
raffigurante i Re Magi

Costantino Psello ebbe come Maestro Giovanni Mavropos (latinizzato in Mauropode) e fu lui stesso Maestro, tra gli altri, di Giovanni Italo.
Mavropos e Psello riuscirono come i loro predecessori a celare  la propria iniziazione platonica dietro il paravento della religione di stato alla stessa stregua dei loro "prececessori" ai tempi  della Roma repubblicana e imperiale, sostituendo allo stesso fine gli dei mitologici  con i santi. Diversamente decise invece di comportarsi Giovanni Italo, convinto  di poter applicare la dialettica ai dogmi cristiani arrivando così a sostenere apertamente qualcosa come  l'eternità della materia, anticipando i tempi di qualche secolo. Nel teatro della storia egli ha, purtroppo,  "sbagliato l'entrata ma non la battuta".
Giovanni Italo, il nome lo rivela, era originario dell'attuale Calabria (o Sicilia secondo altre fonti) Anna Comnena ne l'Alessiade ci descrive, oltre al carattere impetuoso, i sui argomenti di insegnamento citando Platone, Porfirio, Ammonio, Proclo e Giamblico, autori indicativi per chi ritiene che in quel periodo l'influenza filosofica ellenica fosse solo aristotelica.

Protetto dal suo Maestro Psello durante e dopo i suoi studi a Costantinopoli, successivamente all'uscita di scena di quest'ultimo si trovò a dover difendere sè stesso ed i suoi allievi da una pesante accusa di eresia. La vicenda parla chiaro sull'influenza di Psello sull'imperatore Michele VII Ducas, anch'egli suo meritevole allievo: un sinodo, nel 1076-77, condannò, senza fare il nome di Giovanni Italo, una raccolta di tesi di nove capitoli che erano a lui attribuite. Nel 1082, quattro anni dopo la morte di Psello, si arrivò però ad una condanna aperta ed egli fu costretto a ritirarsi in un monastero. Meditiamo sul fatto che, dopo una tale accusa, la sorte di Italo sarebbe stata quasi sicuramente peggiore se egli si fosse trovato nel cattolico occidente.

Costantino Psello e l'imperatore 
Michele VII Ducas

Il contenuto dei nove capitoli, per il contenuto iniziatico che vi si ritrova,  è a dir poco  imbarazzante: interpretazione con argomenti razionali dell’incarnazione, superiorità delle dottrine dei filosofi antichi rispetto alle tradizioni ecclesiastiche, ripresa delle dottrine platoniche sul mondo e sull’uomo, negazione dei miracoli...

Pochi decenni più tardi il sapere della mistica tedesca Ildegarda di Bingen  attinge proprio dal repertorio neoplatonico di matrice bizantina con forti similitudini (per Ildegarda in versione onirica) con  lo "stato di trance" di Giuliano il Caldeo e di suo figlio Giuliano il Teurgo, ritenuti gli autori degli Oracoli Caldaici.
Autori come Kraft o Dronke (per quest'ultimo il testo Platonic Christian Allegories) ipotizzano che Ildegarda fosse stata influenzata in questo dalla Scuola di Chartres ma sappiamo per certo anche di suoi rapporti epistolari con la corte bizantina e quindi (non è da escludere) con l'Accademia di Costantinopoli. Ella nel Liber de vita meritorum mette al centro del Cosmo la figura dell’Uomo alato, simbolo della divinità eterna, immanente e operante nel mondo:  

"fuoco che romba nascosto e bruciante e anima tutte le cose"

Il  fuoco è altrattanto presente, con il medesimo significato, negli Oracoli Caldaici:

"Ascoltate, o dei, voi che tenete il timone della sapienza sacra, avendo acceso il fuoco che eleva in alto le anime dei mortali..."

Lo stesso "fuoco teurgico" protagonista della religione zoroastriana, analogo e forse derivato del Pramantha vedico, prova provata, si direbbe oggi, dell'unicità della Tradizione.

Giovanni Reale, studioso certamente non avvezzo all'esoterismo, in "Per una nuova interpretazione di Platone" ricorda che Proclo riteneva che gli Oracoli Caldaici fossero un testo basilare del neo-platonismo insieme al Timeo (pag.583); Reale nello stesso testo cita anche le parole molto eloquenti di Gaiser, questa volte riferite all'Oracolo di Delfi:

...il lettore deve sforzarsi di cogliere la verità non diversamente da come si sforza di intendere le sentenze degli oracoli. Si può applicare ai dialoghi platonici quel che Eraclito ha detto del Dio di Delfi: "Non afferma, né nasconde, ma lascia intendere per cenni" (pag.475)

 Sarebbe sicuramente molto interessante approfondire gli studi sulle opere di Giovanni Italo, personalmente ritengo che l'Accademia di Costantinopoli fosse nell'alto medioevo l'unico centro iniziatico occidentale (al pari dell'odierna Massoneria) e che fu spostata a 
Mistrà nel Peloponneso quando Bisanzio non fu più ritenuta sicura, in balia com'era di papi e sultani. 

Segnalo a questo proposito la presenza dello scritto sulla dialettica nel manoscritto Gr. XI.22  della Biblioteca Marciana di Venezia, della seconda metà del XIII secolo, nel manoscritto della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze LXXI.32, copiato dallo scriba Tommaso nel 1309-10, nel Suppl. Gr. 655 del XIV secolo (Parigi, Bibl. nationale) e nel Marciano Gr. 519 (773), fatto eseguire dal cardinale Bessarione nel XV secolo. L'opuscolo sull'interpretazione è invece conservato nel ms. Gr. 1843 della Bibl. nationale di Parigi, del XIII secolo. 


La gemmazione dell'Accademia di Costantinopoli avvenne poi in Italia dal 1438 con la costituzione della Accademia platonica fiorentina.



 


giovedì 23 agosto 2012

L'ultimo caldeo: misteri di un uomo non ordinario

La malinconia è un amico subdolo. Spesso si comporta come Kato, il maggiordomo-trainer dell'ispettore Jacques Clouseau nella pellicola La Pantera Rosa: si nasconde in posti inaspettati ma familiari pronta a saltarti addosso per metterti alla prova. Ieri sera rileggendo dopo molti anni Le port des brumes di Simenon ho ritrovato all'interno del  libro ingiallito dal fumo del sigaro  una sbiadita polaroid che ritraeva il bar dell'Hotel Clement,  a due passi da Boulevard Saint-Germain.
Impossibile dimenticare la lunga serie di  Calvados bevuti in una fredda nottata di marzo attendendo la primavera e del barman che, svuotando meccanicamente il posacenere, raccontava della sua fuga dalla città  turca di Kars poco prima del genocidio, il primo del secolo scorso.

"Non sono curdo.  Nessuno ricorderà mai che anche il mio antico popolo ne  ha seguito la sorte laggiù. Lei ha mai sentito parlare degli  Aissori?"

Stampa ottocentesca della città di Kars

Era la prima volta che ne sentivo parlare, solo successivamente scoprì che Aissori era traducibile in italiano con un termine foneticamente simile ma sicuramente più conosciuto: Assiri.
All'epoca dell'infanzia del mio amico barman nella zona del Monte Ararat esistevano comunità che ancora conservavano tracce del misticismo e dei misteri babilonesi, zoroastriani e mitraici. Un ramo particolare era costituito dagli Tazid di religione zoroastriana. A quell'epoca, però, come del resto anche oggi, non esistevano solo villaggi di etnia relativamente  conosciuta, ma anche molte altre, che invece rimanevano in penombra.
Sono poche le parti del mondo in cui, come in questa zona del Caucaso, un giovane ben predisposto  alla spiritualita e al misticismo potesse venire in contatto con una tale varieta d'influssi. Il giovane a cui mi riferisco è Georges Ivanovič Gurdjieff.

Questa regione è prossima all'Iran, dove allora e come certamente avviene ancora oggi, esisteva una forte tradizione Sufi e al contempo una attiva comunità attorno alla chiesa greco-ortodossa. Si può dire che in un certo senso, nell'ambiente che diede i natali a Gurdjieff, accanto a tutta una serie di condizioni ambientali tali da rendere molto dura l'esistenza, c'era, a disposizione di chiunque fosse disposto a ricercarlo, un vastissimo deposito di credenze e pratiche tradizionali di ogni tipo. Lui stesso, nel libro Incontri con uomini straordinari, fornisce indicazioni che conformano questo.

Fotografia giovanile di Gurdjieff
Il giovane Gurdjieff era dunque soggetto all'influsso di molteplici forze e lui stesso ci ha lasciato scritto della sua profonda convinzione che tutto ciò con cui venne in contatto dovesse avere un fine preciso. Egli voleva portare all'equilibrio le nature constrastanti dell'uomo, superare il dualismo zoroastriano senza ricadere nelle rigide imposizioni dottrinali del cristianesimo di matrice bizantina.


Già a quindici anni Gurdjieff cominciò a viaggiare, incuriosito dall'origine degli   Armeni (suoi antenati materni), attraversando il kurdistan raggiunse la città di Mossul nell'attuale Iraq, situata nell'altra sponda del fiume Tigri ove sorgeva l'antica Ninive.






resti archeologici di Ninive come le può aver
viste Gurdjieff alla fine del '800

Mossul è sempre stata una città multireligiosa, prima teatro  dell'evoluzione del zoroastrismo nel culto di Mitra, poi  fin dal II° secolo è stata un importante centro cristiano nella declinazione nestoriana, più vicina agli antichi culti orientali.
Nemmeno l'islamismo è mai riuscito a Mossul  ad assorbire completamente i precedenti credo religiosi.


Per un cercatore di Verità come il giovane Gurdjieff  la città di Mossul era una tappa obbligata, tuttavia non è possibile verificare se realmente egli trovò in quella zona le "sacche di antico sapere" che ipotizzava ci fossero; egli però nel 1918 insegnava ai suoi allievi (dalla raccolta di testi Vedute sul Mondo Reale):

" dopo un certo tempo, i centri iniziatici si estinguono uno dopo l'altro, e l'antica conoscenza si ritira in fiumi sotterranei, sottraendosi agli occhi dei ricercatori. Anche i portatori di questa conoscenza si nascondono, e pur risultando sconosciuti a coloro che li circondano, non per questo cessano di esistere. Ogni tanto emergono in superficie delle correnti isolate, rivelando che da qualche parte, in profondità. anche ai nostri giorni scorre il possente fiume dell'antica conoscenza dell'essere. Aprirsi un varco fino a questa corrente, trovarla, ecco l'obiettivo e lo scopo della ricerca"

Oppure se successivamente ideò in autonomia la sua personale visone della Magnus Opus, quella nuova forma di misticismo filosofico che chiamò la quarta via.

Da tutti i resoconti che lui stesso ci fornisce della propria infanzia, così come dalle tracce lasciate negli anni seguenti della sua vita, appare evidente che nel suo carattere c'erano elementi che potremmo definire molto "umani".
Egli era un individuo passionale, che amava il cibo, le donne, la bellezza anche esteriore; soggetto ad impetuosi attacchi d'ira. Senza contare che al fine di soddisfare la sua sete di sapere, era del tutto pronto a non farsi nessuno scrupolo su come ottenere le informazioni. Ma d'altra parte mai, in nessun momento, ricchezza materiale e fama lo interessarono veramente; accanto alla materialità c'era in Gurdjieff anche una calda empatia per le sofferenze del genere umano, una compassione fuori dal comune.
Per lui l'umanità non era cattiva, dannosa o pericolosa: era bisognosa d'aiuto, e ciò lo condusse ad avvertire l'estremo bisogno di trovare un modo d'aiutare i suoi simili per liberarli da questa condizione. Egli concepiva l'uomo come un insieme di ego in lotta tra loro per esserne la guida, tanti fari accesi nella nebbia che rischiano di far naufragare la nave. Ricordi di esperienze e paure ancestrali che necessitano di purificazione per poter divenire veramente una guida, impotenti autonomamente ma docili nel caso in cui sopravvenga una  spinta evolutiva esterna identificata con il Maestro o l'academia creata dal Maestro: l'alternativa occidentale al Ashram di tradizione orientale.


L'Enneagramma, il simbolo della quarta via di Gurdjieff

La crescita interiore avviene attraverso dei veri e propri "salti evolutivi" che fondano l'uomo alle sue conoscenze creando una struttura  permanente  dell'essere, che non potrà mai più andare smarrita.
L'uomo-oggetto si trasforma in un uomo-soggetto, padrone di se stesso e capace di percorrere  definitivamente la via della propria, compiuta, autorealizzazione. Ricordiamo la precisa espressione di Gurdjieff:

"solo l'uomo che giunge a questo livello realizza un centro di gravità permanente 
che è fatto delle sue idee, del suo apprezzamento del lavoro e della sua relazione con la scuola."


E' indubbio che egli  avesse delle  capacità speciali. Ci sono pervenute innumerevoli testimonianze sulle eccezionali abilità ipnotiche di Gurdjieff, chi lo frequentava asserisce anche che potesse, in alcune circostanze, leggere nel pensiero del suoi interlocutori o trasmettere suggestioni mentali.
Se fosse vissuto nei gloriosi secoli dell'Impero Romano in latino l'avrebbero chiamato magus, in greco magos, tutti termini utilizzati dal cristianesimo per i  "Re magi". C'è comunque un errore di fondo, una traduzione approssimativa che ha trasformato colleghi in subalterni: l'etimologia dal sanscrito mah-ati è stato utilizzato nei vangeli con il significato di portatori di doni o ricompense. 

Il termine invece deriva  dal più antico termine, in sanscrito vedico,  maghá-van  traducibile con  (colui che) ha il dono dall'unione della radice Mag (potere) e van (forma riflessiva); a conferma nel Rgveda è usato anche in relazione a graziose fanciulle che, quindi, hanno i doni della bellezza.

Personalmente, riflettendo su Georges Ivanovič Gurdjieff,   mi fermo e riparto da questa frase (sempre dalla raccolta di testi Vedute sul Mondo Reale):

"...egli  (l'uomo) comincia a intravedere, prima come un tenue barlume,  poi sempre più chiaramente, la viva luce della Verità che non ha mai smesso di illuminare l'umanità attraverso le epoche remote. Le origini dell'iniziazione si perdono nella notte dei tempi. Da un'epoca all'altra si delineano culture e civiltà emerse dalle profondità di culti e misteri che, perpetuamente in trasformazione, compaiono e scompaiono per poi nuovamente riapparire. La Grande Conoscenza viene trasmessa per successione di era in era, di popolo in popolo, di razza in razza. I grandi centri iniziatici in India, Siria, Egitto, Grecia, rischiarono il mondo di vivida luce. Di generazione in generazione, vengono tramandati con reverenza i nomi venerati dei grandi iniziati, portatori viventi della Verità."






venerdì 17 agosto 2012

La strana famiglia Mendelssohn: 2°- la Felix età dell'oro

La ricca famiglia Mendelsshon era molto attenta all'educazione dei figli, educazione veramente completa che spaziava tra musica, lingue straniere, arte e letteratura arrivando a mettere a disposizione  anche un'orchestra per provare le  composizioni.
Felix era portato, oltre che per le lingue come il nonno paterno, anche il disegno divenendo un buon pittore di paesaggi.

Acquerello dipinto da Felix Mendelsshon  nel 1836

Egli ricevette lezioni di musica dal pianista Ludwig Berger e dal violinista Eduard Rietz. Nella sua prima educazione musicale, tuttavia, ad avere l'influenza maggiore fu lo studio condotto con Friedrich Zelter, l'arcigno direttore della Singakademie di Berlino, che lo sottopose ad un rigoroso studio che seguiva le tradizioni della Germania del nord nell'istruzione musicale, tradizioni che derivavano in ultima analisi da Bach.

Felix Mendelssohn in
 un ritratto giovanile

Quella di  Mendelssohn fu sostanzialmente un'educazione  settecentesca, e la straordinaria facilità (e alle volte il conservatorismo) della sua musica riflette questo tirocinio iniziale.
Trasferitosi a Berlino con i familiari nel 1819 proprio Friedrich Zelter   lo presentò nel 1821 ad un già anziano Goethe, il quale lo prese subito in simpatia legandosi molto al fanciullo prodigio. Egli lo confrontò persino a Mozart bambino avendo ascoltato quest'ultimo a Francoforte.
Felix e sua sorella Fanny ebbero come  precettore per le materie umanistiche Karl Ludwig Heyse, il padre dello scrittore Paul Heyse.
La memoria eccezionale  di cui era dotato Felix non l'aiutò solamente in ambito musicale: nei primi mesi del 1821 sappiamo che lesse Cesare e Ovidio e studiò con profitto (da una lettera di  Heyse ad Abrahm Mendelssohn)  storia, geografia, aritmetica e francese. Un prova delle capacità intelletuali del giovane ci proviene da un poema eroicomico (genere letterario in voga nel '600 e '700) dal titolo Paphlëis redatto in tedesco durante l'ultima parte del 1820 o all'inizio del 1821.

Copertina del poema Paphlëis scritto
da Felix Mendelsshon (ed. Ursula Galley)

Felix fu un appassionato classicista approfondendo successivamente con  sorella Rebecka il greco antico, è del 1826 una sua traduzione della Ars poetica di Orazio. (il manoscritto originale è conservato presso la Staatsbibliothek di Berlino).

J. Katz nel suo "Jews and Freemasons in Europe, 1723-1929" (ed. Cambridge Mass 1970)  sostiene di non aver riscontrato in nessun documento  relazioni tra Logge Massoniche e membri della famiglia Mendelsshon: la prima  fonte che cita Moses Mendelsshon tra i membri della Massoneria è nel 1917 l'annuale "Bulletin of the International Masonic Congress" che però non aggiunge nessuna altra informazione più dettagliata in merito. Sicuramente gli ebrei  (o cristiani provenienti da famiglie di ebrei)  erano accettati più facimente nelle Logge inglesi  rispetto a quelle tedesche (in parte anche a quelle francesi) ove il credere in Dio sottintendeva spesso al credere nel Dio trinitario cristiano.

Una composizione poco nota di Felix Mendelsshon è l'aria "Infelice" pubblicata nel 1834 su testi provenienti da quattro libretti di Metastasio  miscelati tra loro.
Il soggetto è l'abbandono di una donna da parte dell'amato, tema già affrontato dall'opera italiana nelle varie versioni della Didone abbandonata o da Beethoven in Ah! Perfido (op.65). L'intramezzo Ah, Ritorna, età dell'oro è una struggente (e bellissima) aria che comunica efficacemente all'ascoltatore l'agrodolce nostalgia della protagonista.


Spartito da Ah, Ritorna, età dell'oro 

Ma, come cita il proverbio, "NON E' TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA"


Fanny Mendelssohn nacque quattro anni prima del fratello Felix permettendogli di usufruire degli stessi insegnanti di musica, tra cui il già citato Friedrich Zelter.

Come Clara Schumann anche Fanny era una bambina prodigio dotata di eccezionale talento e di originalità creativa,  etrambe  sacrificarono le proprie ambizioni per amore rispettivamente del marito e del fratello. E' ormai accertato che Fanny fu l'autrice di 4 libri di brani per piano e anche di sei Lieder che Felix Mendelssohn fece passare per suoi, indubbiamente inferiore a lei come pianista.



Fanny Mendelsshon in uno
schizzo di Wilhelm Hensel

Fanny, spinta anche dalla volontà del padre, mise presto da parte le sue composizioni e si dedicò interamente a far conoscere, nelle Domeniche musicali organizzate nella sua casa di Amburgo, le opere del fratello.

"Incoraggiarla su una strada che non considero appropriata è per me una cosa impossibile"

Così scrisse Felix Mendelssohn a proposito della inequivocabile vocazione della sorella e così Fanny morì poco più che quarantenne: mentre suonava al piano un'opera dell'adorato fratello.
Già da un decennio è  in atto in Germania una rigorosa revisione delle opere di Felix Mendelssohn  e molti brani pubblicati a suo nome sono ora attribuiti a Fanny. Incerta rimane la mano che scrisse Infelice / Ah, Ritorna, età dell'oro:
adirittura esistono di quest'opera due versioni, una del 1834 l'altra del 1843 con il titolo variato in Infelice / Ah, Ritorna, età felice. Chissà, forse entrambe sono state scritte dalla dolce Fanny.

link alla tabella di confronto tra i due testi: http://riviste.paviauniversitypress.it/infelice    

Eppure il legame tra donna e musica, antico quanto la storia dell'umanità, è sempre stato vivo e strettissimo. Le prime testimonianze risalgono a migliaia di anni fa, e si riferiscono alle sacerdotesse che durante gli anni dell'Impero Accadico, composero in lingua sumera inni in onore della dea Inanna, madre di tutto il creato. Vera e propria cantautrice, come si direbbe oggi, fu l'egiziana Iti che 2500 a.C., accompagnava il proprio canto con sistri o arpa. Nell'antica Grecia le etere musiciste sono tenute in grande considerazione; Saffo, la leggendaria e infelice poetessa di Lesbo, arricchisce i suoi versi di musica.

Musicanti nell'antico Egitto
Le gainat, cantatrici arabe, hanno avuto un ruolo di rilievo nella vita culturale islamica; la più nota era la bellissima Oraib, nata a Bagdad nel 797, che, venduta come schiava ad un califfo,  ottenne denaro e gloria con dolci melodie. Nei castelli di Provenza non sono solo i trovatori a cantare l'amor cortese: le trobaritz scrivono canzoni e tenzoni, semplici e fresche composizioni dedicate ai loro amati. Nei conventi le suore scrivono nel silenzio delle celle volumi di canti e di salmi: la più famosa è la mistica tedesca Hildegarde von Bingen autrice di una delle più ricche e originali raccolte di canti sacri del Medio Evo.  Quanti conoscono le opere di Barbara Strozzi, la veneziana autrice di madrigali e cantate, o quelle di Francesca Caccini, chiamata la Cecchina?
Eppure nella Firenze della prima metà del Seicento la figlia di Giulio Caccini, membro della Camerata del conte Giovanni de' Bardi, ha un successo straordinario non solo come cantante e suonatrice di liuto, clavicembalo e chitarrinetto, ma anche come compositrice di opere teatrali. La sua Liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina, favola mitologica rappresentata nella Villa Medicea di Poggio Imperiale, affascina il principe Ladislao Sigismondo, che la fa mettere in scena a Varsavia.